La scoperta dell'anima
Dobbiamo, uscendo dai nostri pensieri, compiere il balzo fino
alla visione,
respirare quell'aria divina, senza limiti,
ammetterne la semplice, vasta supremazia,
osare abbandonarci al suo assoluto.
Ed è allora che il non-manifesto riflette la sua forma
nella mente serena come farebbe in uno specchio vivo.
Il raggio senza tempo ci discende nel cuore
e noi siamo rapiti nell'eterno.
Come chi, trascinato alla propria perduta casa spirituale
percepisca adesso la vicinanza di un amore in attesa,
in un passaggio tremulo e indistinto
che era un rifugio dall'inseguimento della notte e del giorno
Aswapathy avanzava guidato da un suono misterioso.
Un mormorio solitario e molteplice,
era ad un tempo tutti quanti i suoni, eppure era sempre lo stesso.
Un richiamo segreto a una gioia imprevista,
nella voce invitante di chi sia molto amato, conosciuto da tempo,
eppure senza nome per la mente dimentica,
riconduceva all'estasi il cuore renitente.
L'orecchio accattivato fu rapito dal richiamo immortale.
Poi, abbassando il proprio imperioso mistero,
si ridusse a un sussurro che si muoveva tutt'intorno all'anima.
Sembrava lo struggersi di un flauto solitario
che errasse per le spiagge della memoria
e che riempiva gli occhi con le lacrime di una gioia colma di nostalgia, di
desiderio.
Come fosse di un grillo la nota unica e sola, ardente ed impetuosa,
rivelava con la melodia acuta il silenzio della notte illune
e insisteva sul nervo di un sonno mistico
la sua acuta, insistente, magica suoneria.
Un tintinnio argenteo, un riso di cavigliere
percorreva le strade di un cuore solitario;
la sua danza recava sollievo ad una solitudine eterna:
dimenticata, antica, una dolcezza ritornò singhiozzando.
Oppure, come udita da un'armoniosa e remota distanza,
sembrava a volte il passo tintinnante di lunghe carovane
o l'inno di una spaziosa foresta,
il memento solenne del gong di un tempio,
il mormorio di api ebbre di miele in isole di estate
reso ardente dell'estasi di un meriggio assonnato,
o anche l'inno lontano di un mare pellegrino.
Una volta, mentre sedeva in un assorbimento lieto e profondo,
fremente ancora dell'abbraccio intenso del suo amante,
e faceva della sua gioia un ponte tra la terra ed il cielo,
sotto il cuore le si spalancò improvviso un abisso.
Una paura vasta e senza nome trascinava i suoi nervi
come una belva trascina la preda per metà dilaniata;
sembrava non avesse alcuna tana dalla quale balzare:
non era a lei che apparteneva, ma nascondeva la sua causa invisibile.
Quindi venne, avventandosi, la sua Fonte terrificante e enorme.
Un informe Terrore dalle ali prive di forma e fine,
che con il suo respiro insidioso occupava l'intero universo,
una tenebra densa più di quanto la notte possa reggere
avvolse i cieli e fece sua la terra.
Ondata vorticante di morte silenziosa, se ne venne
curvandosi intorno al limite estremo del globo scosso;
il cielo cancellando con il suo passo enorme,
voleva annientare l'aria stessa, soffocata e angusta,
porre fine alla favola della gioia di vivere.
Sembrava le vietasse la sua stessa esistenza,
abolendo ogni cosa grazie a cui la sua natura viveva,
si industriava a cancellarne il corpo e l'anima,
stretta di un Invisibile solamente intravisto,
oceano di terrore e potere sovrano,
una persona e un infinito nero.
Sembrava le gridasse, senza usare pensiero né parola,
il messaggio della sua eternità oscura
ed il senso terribile dei suoi silenzi:
sorto da qualche tetra, mostruosa vastità,
da una qualche profondità abissale di paura e dolore
figurata da un sé incurante e cieco,
una coscienza d'essere, priva di quella gioia,
sterile di pensiero ed incapace di beatitudine,
che sentiva la vita come vuota e non trovava in alcun luogo un'anima,
una voce alla muta angoscia del suo cuore
comunicò il nudo significato di parole taciute;
Savitri udì nel suo stesso profondo il pensiero inespresso
che rendeva irreale il mondo e tutto quello che la vita significa.
"Chi sei tu che reclami la corona di una nascita a parte,
l'illusione della realtà della tua anima,
di una divinità individuale su una terra ignorante
nel corpo animale di una imperfetta umanità?
Non sperare di essere felice in un mondo di pena
e non sognare neanche, dando ascolto al Verbo inespresso
e abbagliata dal Raggio inesprimibile,
nel trascendere il reame muto della Sovracoscienza,
di dare un corpo all'Inconoscibile,
o, per una sanzione al diletto del tuo cuore,
di imporre il peso della beatitudine al Supremo silenzioso ed immobile,
profanandone la santità nuda, priva di ogni forma,
o invocare il Divino nella tua stanza,
e sedere con Dio assaporando una gioia umana.
Tutto ho creato, tutto io divoro;
sono la Morte e sono l'oscura e terribile Madre della vita,
sono Kali, nera e nuda nel mondo,
sono Maya e l'universo é il mio inganno.
Col mio respiro anniento la felicità umana
ed uccido la volontà di vivere e la gioia di esistere
così che tutto ritorni nel nulla
e che solo dimori l'eterno e l'assoluto.
Perché è solo un Eterno vuoto che può essere vero.
Tutto il resto non é che abbaglio ed ombra nello specchio brillante della
Mente,
la Mente, vacuo specchio dentro il quale l'Ignoranza contempla
un' immagine splendida del proprio falso sé,
e sogna di vedere un mondo reale, illustre.
Anima, che inventi le speranze e i pensieri dell'uomo,
invenzione tu stessa del fluire degli attimi,
centro dell'illusione o vertice sottile,
riconosci alla fine te stessa, e ritirati dalla vana esistenza".
Ombra dell'Assoluto negativo,
l'intollerante Oscurità la superò, un'ondata,
ed in lei rifluì la Voce formidabile.
Lasciò devastato dietro sé il mondo interiore di Savitri:
sul cuore le pesava un silenzio desolato,
il suo regno di gioia non esisteva più;
rimaneva soltanto la sua anima, la sua scena svuotata,
che attendeva l'ignota, eterna Volontà.
Poi dalle altezze scese una Voce più grande,
la Parola che tocca il cuore e sa trovare l'anima,
dopo la voce della Notte venne la voce della Luce:
il grido dell'Abisso aveva attratto la risposta del Cielo,
la potenza del Sole mise in fuga quella della tempesta.
"Anima, non svelare il tuo regno al nemico;
consenti di celare la tua regalità di beatitudine,
così che non ne trovino la strada il Tempo e il Fato
e vengano a bussare alla tua porta con un colpo di tuono.
Nascondi finché puoi il tuo tesoro di un sé separato
dietro i baluardi luminosi delle tue profondità
fino a che questo non divenga parte di un impero più vasto.
Ma il Sé non si conquista per sé soltanto:
non rimanere paga della conquista di un regno solo;
osa tutto se vuoi che il mondo intero possa essere tuo,
dirigi la tua forza per irrompere in domini più grandi.
Non avere timore di essere nulla per poter essere tutto;
acconsenti al vuoto del Supremo
così che tutto in te possa raggiungere il suo assoluto.
Accetta d'essere piccola e umana sulla terra,
sospendendo la tua divinità appena nata,
così che l'uomo in Dio possa trovare il proprio pieno sé.
Se tu fossi venuta per te stessa soltanto:
spirito immortale nel mondo dei mortali,
per trovare il tuo regno luminoso nella notte di Dio
sola stella splendente nel dominio dell'incosciente,
unica porta aperta sulla luce nell'Ignoranza,
quale bisogno avresti mai davvero avuto di venire?
Tu sei discesa in un mondo di lotta
per portare il tuo aiuto a una razza mortale cieca e sofferente,
per aprire alla luce occhi che non potrebbero vedere,
per portare la gioia nel cuore del dolore,
per fare della tua esistenza un ponte tra la terra ed il cielo;
se davvero desideri salvare l'universo in affanno
percepisci, come se fosse tua, la vasta sofferenza universale:
tu dovrai sopportare il dolore che chiedi di curare;
chi porta il giorno deve camminare nella notte più oscura.
Chi vuole salvare il mondo ne deve condividere la pena.
Senza la conoscenza del dolore come potrebbe trovarne la cura?
Camminasse al di sopra del livello più alto della mortalità,
come raggiungerebbero i mortali quel sentiero troppo alto?
Vedessero scalare uno dei loro le sommità del cielo,
gli uomini potrebbero sperare d'imparare quell'ascesa titanica.
E' sulla terra che Dio deve nascere, essere come l'uomo,
così che, essendo umano, l'uomo possa raggiungere Dio.
Chi vuole salvare il mondo, con il mondo deve essere uno,
contenere ogni cosa sofferente nello spazio del cuore
e portare il dolore e la gioia di tutto ciò che vive.
La sua anima dev'essere più vasta dell'universo
e sentire, come propria sostanza, la stessa eternità,
respingendo la personalità dell'attimo
conoscere sé stessa più antica della nascita del Tempo,
la creazione come un episodio nella propria coscienza,
Arturo e Belfagor come grani di fuoco
orbitanti in un angolo del proprio illimitato sé,
la distruzione del mondo una piccola passeggera tempesta
nell'infinità calma che è diventata.
Se tu vuoi allentare, anche di poco, la catena immensa,
indietreggia dal mondo che l'idea ha costruito,
la selezione che la tua mente effettua dall'Infinito,
la glossa dei tuoi sensi sulla danza dell'Infinitesimo,
allora tu saprai come é venuta la grande schiavitù.
Bandisci da te ogni pensiero e sii il vuoto di Dio.
Allora svelerai l'Inconoscibile,
ed il Sovracosciente diventerà cosciente sulle tue sommità;
penetrerà il tuo sguardo la visione dell'Infinito;
tu guarderai negli occhi dell'Ignoto,
troverai la Verità nascosta in cose viste come errate e false,
dietro le cose note scoprirai il lato nascosto del Mistero.
Tu sarai una cosa sola con la realtà nuda di Dio
e il mondo di miracolo che lui é divenuto
e il miracolo ancora più divino che ancora deve essere
quando la natura, che adesso é Dio, ma inconsapevole,
diverrà trasparente alla luce dell'Eterno,
la sua vista sarà la visione di lui, il suo cammino i suoi passi di forza,
la vita ricolmata di gioia spirituale
e la Materia sposa consenziente dello Spirito.
Consenti di essere nulla e nessuno, dissolvi l'operare del Tempo,
allontana la tua mente da te, ritirati dalla forma e dal nome.
Annullati, ché sia soltanto Dio."
Cosi parlò la Voce, grande ed elevata,
e Savitri ascoltò; chinò il capo in contemplazione
in sé affondando lo sguardo profondo,
nella notte silenziosa, nella intimità dell'anima.
Appartata, ritraendosi nella calma e il distacco,
testimone del dramma di sé stessa,
studiosa della propria scena interiore,
osservò le passioni e il travaglio della vita,
e udì nelle affollate vie principali della propria mente
l'andatura e il passaggio incessanti dei suoi pensieri.
Consentiva di emergere a ogni cosa che scegliesse di muoversi,
senza chiamare né forzare nulla, senza nulla reprimere,
lasciava tutto al processo formatosi nel Tempo
e all'iniziativa indipendente dell'arbitrio della natura.
Nel seguire così la complicata commedia umana,
udì, dietro le scene, la voce del suggeritore,
riconobbe la trama originale
ed il tema di organo del Potere compositore.
Contemplò ogni cosa che sorgesse dalle profondità dell'uomo,
gli istinti animali a caccia tra gli alberi della vita,
gli impulsi che sussurrano al cuore,
e l'irrompere nei nervi del vortice delle passioni;
vide i Poteri che dall'abisso scrutano,
vide la Luce priva di parola che dà libertà all'anima.
Ma più di ogni altra cosa, del pensiero il suo sguardo inseguiva la nascita.
Affrancata così dall'apparenza della mente di superficie
non si fermò ad esaminare i casi ufficiali,
l'emissione di moduli compiuta dall'ufficio del cervello,
la fabbrica di suoni di pensiero e di parole prive di ogni suono
e di voci registrate all'interno non udite dagli uomini,
il suo conio e tesoro di moneta lucente.
Questi non erano che contrassegni nel gioco di simboli della mente;
dei dischi di grammofono, proiezione di un film,
una lista di segni, una cifra ed un codice.
Nel nostro corpo sottile, invisibile, nasce il pensiero,
oppure vi entra dal campo del cosmo.
Spesso dalla sua anima emergeva un pensiero nudo,
luminoso con labbra di mistero e occhi di meraviglia;
o dal cuore emergeva un qualche volto in fiamme
e cercava la vita e l'amore ed una verità intensa,
aspirava al cielo o abbracciava il mondo,
o conduceva la sua fantasia come fosse una luna che attraversi
il cielo opaco dei giorni comuni degli uomini
tra le dubbie certezze delle leggende della terra,
dava una forma alla celestiale bellezza della fede,
come se una rosa viva in un vaso d'oro
ridesse ai fiori di tappezzeria di una stanza sbiadita.
Nel profondo del cuore sedeva un taumaturgo,
che forzò avanti il passo e in alto lo sguardo,
finché la meraviglia non trasalì nel petto illuminato
e la vita diventò meravigliosa di una speranza che trasfigurava.
Tra le sue sopracciglia una veggente volontà soppesava ogni cosa,
dietro il cervello erano schierati i pensieri, Angeli scintillanti,
in lucenti armature, congiungendo le mani di preghiera,
e riversavano i raggi del cielo nelle forme terrestri.
Dal suo petto si alzarono in fiammate le immaginazioni,
beltà ultraterrene, contatti di una gioia superiore,
e piani di miracolo e sogni di delizia:
attorno al loto del suo ombelico stringendosi vicine
le vaste sensazioni delle schiere dei mondi
facevano fluire i movimenti sordi dell'Idea non formata;
invadendo il sensibile e piccolo fiore della gola
portarono le loro mute ed inespresse risonanze
a incendiare alle immagini di un discorso celeste.
Più in basso i desideri formavano la loro volontà,
e brame di dolcezza o di estasi fisiche
tradussero negli accenti di un grido
la loro presa sugli oggetti e la loro stretta sulle anime.
I pensieri del corpo risalivano dalle sue membra consce
e ne portavano gli struggimenti alla corona mistica
là dove i mormorii della Natura incontrano l'Ineffabile.
Però per il mortale imprigionato nella mente esteriore
viene richiesto a tutti di mostrare a quella porta il lasciapassare;
camuffandosi devono indossare il berretto e la maschera d'ufficio
o passare come manufatti del cervello,
incognita la loro segreta verità e nascosta l'origine.
Solo alla mente interiore parlano diretti,
si vestono di un corpo, assumono una voce,
visto il loro passaggio, conosciuto e udito il loro messaggio,
rivelato il luogo di nascita ed il marchio natale,
poi stanno smascherati alla visione di un immortale,
messaggeri della nostra natura all'anima testimone.
Impenetrabili, negate ai sensi mortali
le stanze interiori della dimora dello spirito,
dischiusero per lei i loro avvenimenti e i loro ospiti;
degli occhi guardarono attraverso fessure nel muro invisibile
e attraverso il segreto di porte nascoste
giunsero nella piccola stanza frontale della mente
pensieri che estendevano la nostra limitata sfera umana,
sollevarono la torcia quasi spenta o morente dell'Ideale
o attraverso il finito fissarono lo sguardo all'infinito.
Una visione si apri sull'invisibile
e percepì le forme che non vedono gli occhi mortali,
i suoni che l'udito mortale non può udire,
la dolcezza beata del contatto dell'intangibile;
gli oggetti che per noi non sono che aria vuota
là sono la sostanza dell'esperienza quotidiana
il comune alimento del senso e del pensiero.
Apparvero gli esseri dei reami sottili
e le scene nascoste oltre le nostre scene terrestri;
lei vide la vita di continenti remoti
e la distanza non la rese sorda a voci lontanissime;
sentì i movimenti che attraversavano menti ignote;
gli eventi del passato accaddero davanti ai suoi occhi.
I pensieri del vasto mondo furono parte del suo stesso pensiero,
le sensazioni mute per sempre e mai diverse,
le idee che non avevano trovato mai espressione.
I cenni incoerenti del subconscio indistinto
misero a nudo un significato contorto, strano e profondo,
la bizzarra oscurità del loro parlare esitante,
ed i loro legami alla realtà sottostante.
Il non-visto divenne visibile ed udibile:
i pensieri, dall'alto di un campo ultracosciente, si lanciarono
come aquile che calino da un picco senza viste,
i pensieri mandavano bagliori dalle profondità subliminali
dorati come pesci rossi in un mare nascosto.
Questo mondo é una totalità vasta ed ininterrotta,
una profonda solidarietà congiunge le sue forze contrarie;
le sommità di Dio si voltano a guardare il muto Abisso.
Così l'uomo evolvendo alle altezze più divine
colloquia ancora con l'animale e il Djinn;
la divinità umana, con occhi che contemplano le stelle,
vive ancora in una stessa casa con la bestia primeva.
L'alto incontra il basso, tutto é un singolo piano.
Così lei contemplò le molte nascite del pensiero,
se può esserci nascita di ciò che é eterno;
perché i poteri dell'Eterno sono come l'Eterno stesso,
senza-Tempo nel senza-Tempo, sempre nati nel Tempo.
Anche questo lei vide, che ogni cosa nelle mente esteriore
é fatta, non é nata, prodotto deperibile,
forgiato nella fabbrica del corpo dalla forza terrestre.
Questa mente é una piccola macchina dinamica
che senza posa continua a produrre, fino a quando si logora,
con le materie prime prese dal mondo esterno,
gli schemi disegnati da un Dio artista.
Spesso i nostri pensieri sono merci rifinite del cosmo,
ammesse da una porta d'ufficio silenziosa
ed introdotte per le gallerie del subcosciente,
e quindi rilasciate sul mercato del Tempo come fossero produzione propria.
Perché adesso recano l'impronta della persona viva;
un dettaglio o una particolare sfumatura rivendica l'origine.
Tutto il resto é artificio della Natura, ed anche questo.
I nostri compiti ci sono assegnati, non siamo che strumenti;
nulla è del tutto nostro di quello che creiamo:
il Potere che agisce dentro noi non é la nostra forza.
Anche il genio riceve da qualche alta sorgente,
celata in un superno segreto,
l'opera che gli reca un nome immortale.
Parola, forma, incanto, gloria e grazia,
sono scintille che un Fuoco stupendo invia in missione;
sono campioni dal laboratorio di Dio
di cui tiene il brevetto per la terra,
a lui giungono avvolte in una carta d'oro,
pone ascolto al bussare del postino dell'Ispirazione,
prende in consegna il dono senza prezzo,
un poco danneggiato dalla mente che riceve,
oppure mescolato ai manufatti del suo cervello;
è tanto più divino quanto meno viene sfigurato.
Se anche il suo ego reclama il mondo a proprio uso,
l'uomo é un motore per il lavoro cosmico;
la Natura in lui compie quasi tutto, Dio ciò che di alto resta:
soltanto gli appartiene l'accettazione della propria anima.
Indipendente, un tempo un potere supremo,
generato da sé prima che l'universo fosse fatto,
nell'accettare il cosmo, si incatena servo della Natura
fino a che non diventi il suo liberto - o lo schiavo di Dio.
E' questa l'apparenza sulla nostra facciata mortale;
dietro rimane invece la più grande verità del nostro essere:
che la nostra coscienza è immensa, cosmica,
ma è solo quando noi ci apriamo un varco attraverso il muro della Materia
che possiamo restare in quella vastità spirituale
dove possiamo vivere signori del nostro mondo
dove la mente é soltanto un mezzo e il corpo uno strumento.
Perché più in alto della nascita del corpo e del pensiero,
la verità del nostro spirito vive nel nudo sé
e controlla, libera da ogni vincolo, da quella altezza il mondo.
Lei si elevò al di sopra dalla mente per sfuggirne la legge
ché potesse dormire in qualche ombra del sé profonda,
divenire silente nel silenzio dell'Invisibile.
Si portò in alto e stette libera dalla Natura
e da ancora più in alto contemplò la vita della creazione,
quindi da là distese sopra tutto la propria sovrana volontà,
per dedicare tutto alla calma senza tempo di Dio:
poi, tutto quanto diventò tranquillo nello spazio del suo essere,
a volte solo piccoli pensieri si alzavano e abbassavano,
onde quiete su un mare silenzioso,
increspature sulla superficie di un solitario stagno
quando un sasso per caso ne disturba il riposo sognante.
E tuttavia la fabbrica mentale aveva terminato di produrre,
non c'era nessun suono pulsante del motore,
non giungeva richiamo dalle immobili regioni della vita.
Poi anche questi moti dentro lei cessarono di alzarsi;
adesso la sua mente sembrava una stanza vasta e vuota
o come un tranquillo paesaggio senza suoni.
A questo gli uomini danno il nome di quiete, e come pace valutano.
Eppure alla sua vista più profonda tutto era ancora là,
come un caos che ribolla sotto un coperchio;
emozioni e pensieri esigevano la parola e l'azione,
ma non trovavano alcuna risposta nel cervello ridotto al silenzio:
tutto era represso, ma niente era ancora stato eliminato;
in qualunque momento poteva avere luogo l'esplosione.
Poi anche questo si sospese, il corpo aveva l'apparenza di una pietra.
Tutto era adesso una vacuità vasta e possente,
eppure ancora esclusa dalla quiete dell'eternità;
perché ancora lontano era il riposo dell'Assoluto
ed il silenzio-oceano dell'Infinito.
Dei pensieri potevano, anche adesso, attraversare la sua solitudine;
ma questi non sorgevano dal suo interno o dalle profondità
modellati dall'assenza di forme a cercare una forma,
non parlavano dei bisogni del corpo, e non davano voce ai richiami della vita.
Ma questi non sembravano generati o prodotti nel Tempo umano:
discendenti della Natura cosmica da un mondo remotissimo,
forme di una Idea interamente rivestite di una armatura di parole,
appostati come dei viaggiatori in uno spazio alieno.
Sembrava che venissero da una distesa al largo,
portati su ali vaste come vele ampie e candide,
e con facile accesso raggiungessero l'orecchio interno
come usassero un loro privilegio, diritto naturale,
di accesso alle regioni più regali dell'anima.
Il loro cammino era nascosto profondamente ancora nella luce.
Poi Savitri, cercando da dove provenissero gli intrusi,
vide un'immensità spirituale
pervadere e comprendere l'estensione del mondo
come l'etere con la nostra aria trasparente e tangibile,
e, attraverso questa, un pensiero,veleggiare tranquillo.
Come una nave che si accosti al porto avanzando tranquilla,
noncurante dell'embargo o di un blocco,
fidando dell'ingresso e del sigillo sul visto,
arrivò alla città silenziosa del cervello,
dirigendosi verso la banchina già nota e assegnata,
ma a sbarrargli la strada trovò una volontà, l'attacco di una Forza,
ed affondò, svanendo, nell'immenso.
Dopo una lunga pausa di vuoto un altro apparve
e ad uno ad uno altri emersero improvvisi,
inattesi visitatori della Mente dall'Invisibile
come vele remote su un mare solitario.
Ma presto quello scambio venne meno,
nessuno più raggiunse le coste della mente.
Allora tutto diventò immobile, nulla si mosse più:
immobile, assorto in sé, oltre il tempo,
solitario un silenzioso spirito pervadeva uno Spazio silenzioso.
In quella quiete nuda, assoluta e tremenda,
si intravedeva un Vuoto Supremo, negazione di tutto,
che reclamava il diritto sovrano del proprio Nihil mistico
di cancellare la Natura e di negare l'anima.
Perfino il nudo senso del sé impallidì e si assottigliò:
priva di qualità, di segno, forma e personalità,
aveva preso il posto della mente una consapevolezza nuda e pura.
Lo spirito di lei sembrava avesse la sostanza di un nome,
il mondo la figura di un simbolo tracciato sopra il sé,
un sogno di immagini, di suoni,
aveva costruito l'apparenza di un universo
o prestato allo spirito le sembianze di un mondo.
Questo era il contemplarsi del sé; in quel silenzio intollerante
nessun concetto, nessuna nozione si poteva formare,
non c'era nessun senso nel quale collocare le immagini di cose,
là si trovava una pura e semplice visione di sé, non sorgeva pensiero.
L'emozione dormiva nel profondo del cuore imperturbato,
o giaceva sepolta in un cimitero di pace:
tutti i sentimenti sembravano quiescenti, calmi o morti
come se, lacerate, le corde del cuore non potessero mai più funzionare
e la gioia e il dolore sollevarsi mai più.
Il suo cuore continuava a pulsare con ritmo inconsapevole,
ma da lui non giungevano né reazioni né grida.
Vano era il provocare degli eventi;
nulla all'interno rispondeva ad un contatto esterno,
nessun nervo veniva stimolato, non emergeva alcuna reazione.
E tuttavia il suo corpo si muoveva, e vedeva e parlava;
capiva senza aiuto del pensiero,
diceva tutto quello che doveva esser detto,
faceva tutto quello che doveva esser fatto.
Là non c'era persona dietro l'atto,
non c'era mente a scegliere o approvare la parola più adatta:
tutto operava come una macchina infallibile e all'altezza del compito.
Come se continuasse i vecchi usati cicli
e spinto da una forza antica ed inesausta,
il motore svolgeva il lavoro per il quale era stato costruito:
la sua coscienza era spettatrice e non partecipava;
sosteneva ogni cosa, in nulla aveva parte.
Non c'era alcuna forte volontà a prendere iniziative;
Un'assenza di senso, che traversasse un vuoto solido,
andava al proprio posto in un ordine di caso correlato.
Una pura percezione era il solo
potere che sosteneva il suo agire e il suo vedere.
Si ritirasse quella, ogni oggetto risulterebbe estinto,
cesserebbe di esistere il suo universo privato,
la dimora che aveva costruito con i mattoni di pensiero e senso
alle origini, dopo che lo spazio aveva avuto nascita.
Il vedere era identico all'essere veduto;
privo di conoscenza, conosceva tutto quello che può essere noto,
in modo equanime vedeva il mondo passargli davanti,
ma nello stesso sguardo immobile e supino
ne contemplava anche l'abissale irrealtà.
Vedeva la figura del gioco cosmico,
ma nelle forme apparivano morti il pensiero e la vita interiore,
che il collasso del suo stesso pensiero aveva abolito:
ancora rimaneva, vuoto, un guscio fisico.
Tutto sembrava un'ombra brillante di sé stesso,
un film cosmico di scene e di immagini:
la massa persistente e il profilo dei colli
non era che un disegno tracciato su una mente silenziosa
tenuto in una tremula e falsa solidità
dagli incessanti battiti di ciglia di uno sguardo visionario.
La foresta, con le sue moltitudini smeraldo, rivestiva
lo spazio vago e vuoto nella sua esibizione di sfumature,
colori di un disegno che coprivano una superficie vuota,
tremolanti sull'orlo della dissoluzione:
i cieli azzurri, illusione degli occhi,
facevano da tetto all'illusione della mente di un mondo.
Gli uomini, che si muovevano sotto un cielo irreale,
apparivano come marionette mobili ritagliate nel cartone,
sospinte sulla terra da una mano invisibile,
o come figure in movimento in un filmato dell'Immaginazione:
dentro non c'era anima né potere di vita.
I moti del cervello che sembrano pensiero,
la reazione transitoria dei nervi al bussare di ogni contatto,
i fremiti del cuore percepiti come gioia e dolore e come amore,
erano il contorcersi del corpo, il loro sé apparente,
impostura che il corpo fabbricava, forgiandola dagli atomi e dal gas,
per il marchio di Maya,
e la sua vita un sogno contemplato dal Vuoto che dorme.
Gli animali, da soli oppure a gruppi, passavano attraverso le radure
fuggitiva visione di bellezza e di grazia,
immaginata da un qualche Occhio creatore di ogni cosa.
Pure, qualcosa si trovava dietro la scena al suo svanire;
si percepiva, celato ancora alla mente e alla vista,
dovunque si volgesse ed in qualunque cosa lei posasse lo sguardo.
L'Uno, il solo reale, si chiudeva al di fuori dello Spazio
e restava in disparte dall'idea del Tempo.
La verità di questo sfuggiva alla forma, alla linea e al colore.
Tutto il resto divenne insostanziale, annullato nel sé,
questo solo sembrava vero e duraturo,
e tuttavia non era in alcun luogo, si trovava al di fuori delle ore.
Questo solo giustifica lo sforzo di vedere,
ma per questo la vista non poteva definire una forma;
questo solo all'orecchio insoddisfatto poteva dare pace,
però invano l'udito rimaneva in ascolto di un suono mancante;
questo non rispondeva al senso, non chiamava la Mente.
Veniva incontro a lei come la Voce mai colta ed inudibile
che dall'Inconoscibile eternamente parla.
A lei si presentava come un punto onnipresente
puro da dimensione, non fisso, invisibile,
la singola unità del proprio molteplice pulsare
accentuava la propria solitaria eternità.
Le stava innanzi come una qualche vasta immensità del Nulla,
come un No senza fine a tutto quello che sembra esistere,
come un Sì senza fine a cose non ancora concepite
a ciò che non é ancora pensato e immaginato,
uno zero eterno o un Nulla incalcolato,
un Infinito privo di spazio e luogo.
E tuttavia eternità e infinito non sembravano altro che parole,
che la mente nella sua incompetenza vanamente affiggeva
alla realtà di questo solitaria e stupenda.
Il mondo non è altro che uno sbuffo di scintille della sua luce,
tutti i momenti nient'altro che lampi della sua Atemporalità,
gli oggetti scintillii dell'Incorporeo
che, quando Quello é visto, dalla Mente svaniscono.
Teneva, come scudo davanti al proprio viso,
una coscienza che vedeva senza che vi fosse qualcuno a vedere,
la Verità in cui non é conoscenza, né chi conosce né chi é conosciuto,
l'Amore innamorato del suo stesso diletto
in cui non c'é un Amante né un Amato
a portare nella Vastità la propria passione personale,
la Forza onnipotente nella quiete,
la Beatitudine che nessuno può mai sperare di gustare.
Cancellava l'inganno convincente del sé;
la sua traccia evidente era una verità nel nulla.
Se tutta l'esistenza rinunciasse ad esistere,
l'Essere nelle braccia del Non-Essere andasse a rifugiarsi,
e il Non-Essere potesse superare il proprio moto indecifrabile
un po' dello splendore si potrebbe svelare di quella Realtà.
Su di lei scese una liberazione oltre le forme.
Lei, che una volta era sepolta viva nella carne e il cervello,
si era sollevata dal corpo, dalla mente e dalla vita;
non era più una Persona in un mondo,
era fuggita nell'Infinità.
Ciò che un tempo era lei era scomparso;
non c'era alcuno schema per le cose, né figura di un'anima.
Una profuga dal reame del senso,
evadendo dalla necessità del pensiero,
liberata sia dalla Conoscenza che dall'Ignoranza
e salvata dal vero e dal non-vero,
condivideva col Sovracosciente il suo alto ritiro
di là della Parola da sé nata, dalla nuda Idea,
dal primo fondamento della coscienza solido e nudo;
là non c'erano esseri, là l'esistenza non aveva luogo,
non c'era tentazione dalla gioia di esistere.
Eclissata inesprimibilmente, nulla e nessuno,
vestigio che svanisca come traccia violacea,
nient'altro che un ricordo vago di un sé ormai passato,
lei era un punto nell'inconoscibile.
Adesso rimaneva solamente un annullamento ultimo,
la soglia indefinita ed indistinta dell'Annientamento:
là c'era ancora una memoria d'essere
che la teneva separata dal nulla:
lei era in Quello, ma ancora non Lo era divenuta.
Quest'ombra di sé stessa così prossima al niente
poteva essere ancora punto d'appoggio perché il sé vivesse,
per riemergere dall'Inconcepibile
ed essere qualsiasi cosa avesse scelto una misteriosa vastità.
Secondo quello che l'Inconoscibile avesse decretato,
poteva essere nulla o divenire nuovamente il Tutto,
oppure, se il Nulla onnipotente avesse preso forma,
come persona emergere e redimere il mondo.
Ancora, avrebbe potuto imparare ciò che la cifra mistica racchiude,
che questa uscita apparente, questa strada chiusa,
potrebbe essere un vicolo cieco e tenebroso nascosto alla vista,
il suo stato la parte di eclissi di un sole oscurato
sul cammino segreto verso l'Ineffabile.
Anche adesso il suo essere splendido poteva ritornare fiammeggiante
dal silenzio e dalla nullità,
parte lucente del Meraviglioso,
come potere di un Assoluto che affermasse ogni cosa,
uno specchio lucente della Verità eterna,
per far vedere il proprio volto manifestato a ciò che è Uno in tutto,
e alle anime degli uomini la loro più profonda identità.
O si sarebbe potuta destare nella quiete di Dio,
oltre la notte ed il giorno cosmici,
e riposare in pace nella sua candida eternità.
Ma questo adesso era irreale o remoto,
o coperto nel vuoto mistico e insondabile.
Nel Nulla infinito era il segno estremo,
oppure il Reale era l'Inconoscibile.
Un Assoluto solitario era negazione di tutto:
cancellava dal suo isolamento il mondo di ignoranza
ed annegava l'anima nella sua pace eterna.