Il satori non è uno stato
anormale, uno stato di trance in cui scompare la realtà; non è un estasi, in
cui lo spirito viene come "rapito" fuori del corpo.
L'estasi è uno stato in cui l'uomo
può entrare non per sua volontà, ma solo grazie alla volontà di un Ente
soprannaturale; nell'estasi la persona non è consapevole di ciò che gli accade
intorno e tutto il suo essere è come rapito dalla volontà suprema. Casi di
estasi riempiono la tradizione ebraica e cattolica: molti profeti parlavano con
Dio e molti santi avevano continue estasi (solo a titolo esemplificativo e,
necessariamente ridotto, possiamo parlare di s. Francesco d'Assisi e di s.
Caterina di Siena in Italia; di s. Giovanna d'Arco in Francia; di s.Ildegarda in
Germania, e in tempi più attuali Bernadette a Lourdes o Padre Pio, o i veggenti
di Medugorjie).
Il satori è ascesi in quanto
richiede uno sforzo quotidiano per conseguirlo; pochi sono gli eletti che
possono avere una reale visione, ma tutti possono conseguire lo stato del satori.
Da un punto di vista psicologico il
satori è uno stato nel quale una persona si trova in armonia con la realtà
esterna ed interna (interiore), uno stato nel quale la persona coglie pienamente
la realtà. E' la persona che coglie pienamente l'essenza del satori, e non una
parte della persona come la mente o il cuore. Il satori è l'Illuminazione
profonda che rischiara il nostro essere dalle tenebre. Nel satori si coglie
pienamente l'essenza delle cose per cui anche ciò che allo stato attuale può
sembrare un nulla, come un piccolo fiore, un granello di sabbia, un semplice
suono, diviene un qualcosa di immenso per cui in esso si comprende l'ordine
dell'Universo.
L'atteggiamento lieto di uno
spirito che vuole vivere serena la propria vita è shikantaza,
ossia lo stare correttamente seduti. Bisogna concentrarsi sulla postura e,
soprattutto, su cinque punti, le vertebre lombari, i pollici (questi due punti
sono i più importanti), il mento, lingua e gli occhi.
Il satori è composto da numerose
fasi per cui non è possibile arrivare al conseguimento pieno dello stesso se
non passiamo attraverso tali fasi. Prendiamo come esempio il formarsi del
giorno: se consideriamo una data ora l’acme della giornata, osserviamo che non
è possibile arrivare subito a tale ora,ma dovremmo passare, prima, per le ore
intermedie.
In un ideale processo analitico
dobbiamo ugualmente passare varie fasi per provare un veritiero satori.
Inizialmente ci si sente stanchi,
inutili, vuoti, con una sensazione di timore; se si riesce, in questo momento, a
guardare avanti è come se sui schiudesse una porta. Possono affiorare vecchi
ricordi, sensazioni negative che pensavamo oramai lontane dalla nostra mente;
niente di tutto questo deve essere motivo di timore per noi. Un ricordo che
affiora nel nostro animo è un ricordo solo allontanato, ma non superato. Il
riportarlo alla mente è solo il nostro ego che, a contatto con lo Zen. Quindi
con il pensiero, vede l’occasione propizia per allontanare in modo definitivo
tale ricordo. E’ importante tenere a mente questo: non è lo Zen che provoca
sensazioni negative. Lo Zen può portare alla superficie dell’ego sensazioni
che ritenevamo dimenticate, e questo è un fatto positivo. Tutto ciò può avere
un effetto immediato: si smette di proiettare sugli altri ciò che è in noi
o che si reprime in noi stessi.
Andando ancora avanti si entra in
contatto con l’umanità, ci si sente, ed effettivamente si è, meno repressi e
più liberi: per la prima volta si comprende quanto sia importante essere
piuttosto che avere, essere che sembrare
I sutra buddisti descrivono dieci
condizioni spirituali, che vanno dallo stato di naraka, lo stato di
sofferenze infernale, sino a deva, lo stato angelico di un Buddha.
Nel buddismo questi due stati hanno
un significato del tutto diversi rispetto a quelli descritti nelle altre
religioni, e descrivono soprattutto le condizioni dello spirito, spiegate dalla
successione di tappe che esso percorre nella pratica zazen. Lo stato di naraka
descrive lo stato di prostrazione spirituale, quello che spinge l'uomo a
liberarsi dalla propria condizione di estrema sofferenza; lo stato di deva
indica lo stato in cui lo spirito è libero da tutti i condizionamenti socio
culturali e che conducono l'uomo alla schiavitù.
Ogni tappa di questo processo non
segna una frattura con le altre, ma è in rapporto con quella immediatamente
successiva e precedente .
La prima tappa è naraka,
l'inferno, lo stato di sofferenza che prova chi inizia la ricerca.. Il discepolo
in questa fase è contratto, ansioso, e spesso attende con ansia che termini lo
zazen. Dalla loro postura si riconosce il loro stato confusionale.
La seconda tappa è preta,
in cui si è avidi di pace, di tranquillità e si ricerca il satori quasi con
rabbia. Tutta la sua postura è tesa verso una meta.
La terza, tiriyag yoni,
l'allievo è in preda a desideri animali, dal torpore, dal sonno, dall'inerzia.
La respirazione è ansiosa e rumorosa.
Il quarto stato è lo stato degli asura,
stato aggressivo in cui l'aggressività è spinta verso gli altri e si ha un
desiderio di primeggiare; si cerca di fare meglio degli altri e questo stato è
facilmente notato dal maestro. L'atteggiamento è rivolto verso gli altri che
vengono studiati per potere fare meglio. Quando i maestro riprende un allievo o
lo colpisce con una bastone si pensa che il proprio zazen è migliore dell'altro
e non finirà mai di ricevere il bastone.
La quinta tappa è manusya;
la postura è buona ma non elevata come negli stati superiori, ma è quella
dell'uomo normale, il cui spirito è concentrato sugli avvenimenti della
giornata, sui problemi quotidiani che non riescono ad essere dimenticati
totalmente.
Il sesto stato è deva, in
cui si è raggiunti un certo stato di benessere spirituale e si ritiene, in
alcuni casi,che si è raggiunti il satori il che è un errore, in quanto si
finisce con il compiacersi di se stessi.
La settima tappa, sravaka,
consiste in uno stato di certezza dogmatica in quanto si ritiene di avere
compreso alcuni importanti concetti dello zen, come la vacuità, il ku,
lo spirito dello zen, mentre la conoscenza è a livello di conoscenza
intellettuale.
L'ottavo stato, pratieka
buddha, è simile al precedente e si manifesta quando si pratica zazen da
gran tempo e si è in grado di praticarlo da soli, senza guida, in silenzio.
L'allievo può fermarsi a questo livello se ritiene di avere raggiunto lo stato
di buddha, e non tollera critiche sul suo operato; la sua mente ed il suo
spirito si chiude alla compassione verso se stesso e gli altri e lo spirito
diviene duro .
Il penultimo stato, quello del bodhisattva,
è uno stato eccellente. La postura è simile a quella dello stato di manusya,
il quinto stato; lo spirito è simile a quello di Buddha. Egli non ricerca il
satori per se stesso ma per tutti gli esseri. In Giappone si trovano delle
statue di bodhisattva lungo le strade per dimostrare che non devono essere
necessariamente in un tempio, ma devono essere alla portata di tutti. E' lo
stato di un Buddha che non cerca di arrivare all'ultimo stato, ma desidera
rimanere in questa stato per aiutare l'uomo.
L'ultimo stato, quello di Buddha,
è il più alto, il finale, il vero Ku, il vero vuoto, hishiryo.
La postura è perfetta e lo spirito raggiunge l'Illuminazione, la suprema
saggezza.
Durante zazen questi stati non sono
successivi e non seguono necessariamente questa sequenza; tuttavia perseverando
nello zazen si arriva all'illuminazione .
Il satori non deve essere ricercato
ma vi si deve giungere in modo naturale; come non si può decidere di essere
innamorati e ci si può solo porre nella condizione ideale per cogliere questo
sentimento, così ci si può porre nello stato adatto per entrare nello stato
del satori. Se lo ricercassimo con una ricerca che occupa la nostra mente, il
nostro cuore, il nostro spirito, tutte queste cose sarebbero prese dalla ricerca
e non si potrebbe entrare nel satori veritiero.
Per i discepoli dello Zen è
necessario distinguere l'esperienza veritiera del satori ed una pseudoesperienza,
che può essere di natura psicotica o isterica o fortemente voluta,(solitamente
con il solo intelletto) per cui si crede di essere entrati in questo stato, ma
si è nella menzogna più forte. Anche se Jung ha parlato di una immaginazione
come una manifestazione psichica, per cui è del tutto irrilevante se
l'immaginazione-illuminazione è solo reale o solo una immaginazione ed anche
nel caso di una menzogna questa sarebbe un fatto spirituale e l'uomo sarebbe di
fatto illuminato. Questa affermazione non può trovare d'accordo alcun maestro
di Zen in quanto una pseudoesperienza non solo non avvicina alla condizione del
satori, ma allontana in quanto l'allievo riterrebbe di avere conseguito questo
stato e non proverebbe più a lavorare per entrarvi. Se una pseudoesperienza
sarebbe simile ad una esperienza si correrebbe il rischio, che si è corso per
tanti anni (anni 70-80 in maniera notevole e che continua sino ai nostri
giorni), di considerare una illuminazione veritiera anche l'esperienza che si ha
con l'uso di droghe o allucinogeni. Ma la peculiarità dell'esperienza del
satori consiste nel mantenere anche dopo il "risveglio" quella
emozione, quella carica energetica, quell'apertura della ente e della coscienza
che si è avute con il satori; mentre nell'esperienza da droga, il risveglio
lascia la persona svuotata, senza alcun miglioramento.
Ai miei allievi dico sempre che lo
Zen è un pugno all'addome che lascia senza fiato,storditi: solo il
conseguimento del satori ripaga l'uomo da questa ricerca.
Non è contraddittorio parlare di
ricerca anche se ho parlato di non ricercare il satori necessariamente; ma
questa ricerca è una non-ricerca, è una ricerca di tipo orientale, spirituale.
Ci si deve porre nello stato d'animo necessario per entrare nel satori, ma non
ricercarlo con le forze. Si deve lottare contro il nemico dell'io, l'io stesso,
il subconscio, che non vuole che si tirino fuori dal nostro "io" tutto
ciò che è nocivo all' "io" stesso. Afferma lo Zen che il problema
principale dell'ego è l'ego stesso.
Si parla di "entrare"
nello stato del satori perché lo zen è visto spesso come la nostra finestra
sul mondo: dipende dalla posizione dei cardini se la porta si apre all'interno o
all'esterno.
Poesia Koan
Pensavo, credendo di
essere vivo,
vedevo l'Essere, il
Signore del mondo,
non era realtà, solo
apparenza.
Credendo in ciò che non
è.
Ero cullato
dall'illusione, scambiando per oscurità
la luce, l'apparenza per
realtà.
Seguivo la via, la
strada era falsità;
avevo percorso molto
cammino,
pur andando avanti la
mia rincorsa era
a ritroso. Guardavo le
persone, vedevo
me stesso; vivevo la
vita, vivevo nella vita.
Parlavo con le persone,
ascoltavo me stesso.
Avvicinandomi alla meta
mi allontanavo da essa.
Progredendo nella
conoscenza accrescevo
la mia ignoranza.
Non persi la speranza e
perseverai
fidandomi di Colui che
mai
abbandona l'allievo.
Salivo cadendo in basso.
Non capivo e la mia
speranza si accresceva.
Soffrivo ed il mio animo
si rallegrava.
Finii abbandonato, non
ero compreso
e non ero più solo.
La mia caduta fu
completa.
Ero moribondo ma stavo
vivendo
per la prima volta.
Ero rinato. Ero
illuminato.
La mia notte divenne il
giorno.
Non camminavo più in
mezzo alle persone,
ma volavo sopra di esse.
La mia mente iniziava a
vedere
con l'anima; la mia
mente
sentiva con il cuore.
Caddero le ombre dagli
occhi, ma gli occhi
non vedevano.
Vedevo con Uno.