L'Alimentazione Ayurvedica

 

   L’antica scienza medica indiana, che contiene tutta la sapienza di questo straordinario popolo, è l’Ayurveda.

   Il termine Ayurveda è formato da Ayus e Veda. La prima, in sanscrito, significa “Vita”, e la parola Veda vuol dire “Conoscenza”. Tenendo ben presente questo concetto, ci si rende facilmente conto di come esista un atteggiamento molto interessante, e diametralmente opposto, fra il modo di concepire la parola Vita nella moderna scienza medica e nell’antica scienza Ayurvedica. La scienza medica moderna afferma, infatti, che fino a quando il cuore di una persona batte, essa è considerata viva, anche se soffre di una grave malattia e dev’essere mantenuta in vita con tutti i mezzi, compresi quelli meccanici che intervengono artificialmente a regolarne le funzioni vitali. La scienza Ayurvedica, invece, asserisce che solo una persona fisicamente, mentalmente e spiritualmente sana può essere veramente considerata viva.

   Questa scienza trae le sue origini dai Veda, i più antichi libri a noi tramandati dalla millenaria tradizione indiana. Nel testo indiano Sutrasthan di Charak Sahimta si dice che “Ayus” (Vita) è la combinazione dei Panchamahabhuta e di Jiva. I Panchamahabhuta sono i cinque elementi “grossolani”: terra, acqua, fuoco, aria, spazio, posti alla base della manifestazione dall’antico sistema filosofico Samkhya, mentre il Jiva è il principio cosciente individuale. Sia per Charak Sahimta che per Sushrat Sahimta, l’Ayurveda non è semplicemente un sistema di medicine per curare malattie e squilibri nel corpo, così come avviene nella medicina moderna allopatica. L’Ayurveda è soprattutto maestra di conoscenza di una filosofia di vita onnicomprensiva, che tratta e descrive la scienza e la tecnologia del fenomeno della creazione, della preservazione e della emancipazione del processo di vita universale. Inoltre essa non si occupa della vita umana soltanto a partire dal concepimento ma anche dalle origini di “Karma e Samskara” delle vite precedenti. Con la parola sanscrita Karma si indica la legge di causa ed effetto e Samskara sono i frammenti di memoria presenti nell’individuo sia a livello conscio, che inconscio.

   I “pilastri” di questo edificio, dunque, sono costituiti da elementi di una antica visione filosofica, dualistica, il Samkya, anteriore all’avvento del Buddha ma anch’essa atea. Per tradizione si attribuisce a Kapila l’onere di aver redatto il testo anche se, come afferma Radhakrishnan nel suo trattato “La filosofia Indiana”, nessuna scuola filosofica ha origine in tutta la sua pienezza dalla mente di un solo uomo. Troviamo, infatti, tracce di questo “punto di vista” già nel Rg Veda e nelle Upanisad o perlomeno riferimento a termini che saranno poi adottati dallo stesso Kapila.

   Il Samkhya è uno dei “Sat Darshana” o sei punti di vista Brahmanici ortodossi, i quali nel corso della storia del pensiero filosofico indiano ebbero il compito di enunciare alcune speculazioni riguardanti la natura dell’universo in generale. Essi sono ancora oggi considerati sistemi autorevoli del pensiero indù in quanto pur essendo diversi hanno in comune le radici negli antichi testi sacri denominati Veda.

   Per comprendere appieno la medicina Ayurvedica è importante passare attraverso la filosofia Samkya.

   Nella medicina Ayurvedica, troviamo rappresentate nel corpo, manifestate fisicamente e più concretamente, le tre qualità di cui è composto l’universo, definite in questo caso Vata, Pitta e Kapha (Tridosha).

   Il medico Ayurvedico è in grado di sentire la loro presenza auscultando anche semplicemente il polso. Non si tratta di una interpretazione occidentale del battito cardiaco ma della capacità di avvertire il pulsare di queste qualità in tre punti vicini, sia nel braccio destro, sia nel sinistro alla ricerca di eventuali anomalie o disarmonie tra di loro.

   I Dosha (peculiarità-difetti) si manifestano nel corpo con precise caratteristiche divergenti: il Vata corrisponde al secco, freddo, ruvido, leggero, può essere anche il magro ed è situato nella parte bassa del corpo; Il Pitta è calore, fluidità ma anche acidità ed è situato al centro del corpo; infine il Kapha, che è la pesantezza, il freddo, la solidità, il grasso, lo ritroviamo collocato nella testa e nel torace.

   All’atto della nascita, insieme al patrimonio genetico, l’uomo porta con sé le sue caratteristiche di base ma queste possono essere sicuramente modificate lungo il percorso della vita dal contenuto della mente (manas) per cui anche la costituzione dei “dosha” è variabile.

   La medicina Ayurvedica sostiene l’ipotesi dell’origine psicosomatica delle malattie. Per questa ragione essa si occupa anche del mentale ed i medici sono sempre pronti a dare consigli ai pazienti per portarli ad una purificazione della loro mente, al risveglio dello stato di attenzione e della conseguente consapevolezza, preludio della coscienza.

   L’Ayurveda si occupa in maniera dettagliata dell’alimentazione, ritenendo che causa di tutte le malattie è l’indigestione, e ci insegna che lo stomaco ha bisogno di essere riempito in due parti di cibo solido ed una parte d’acqua, lasciando un’altra parte libera allo scopo di far circolare liberamente l’aria. Da evitare, dunque, il cibo che non permette di tener fede a questa regola, come quello troppo secco, grasso, speziato o amaro.

   L’Ayurveda considera la medicina e la dieta come complementari stretti, tanto che molti medici indiani (vaydia) sono cuochi e alcuni anche bramini. Si tratta di celebranti di un rito quotidiano che ha come fine quello di estrarre l’essenza dalle materie prime alimentari con cui attizzare il fuoco profondo della digestione e per attivare la produzione essenziale di rasa e di Ojas, essenziali alla vita, la maggior parte delle malattie può essere ricondotta ad una dieta scorretta, mentre una dieta appropriata è prioritaria per la conservazione della salute di una vita lunga e sana. Infatti, dopo aver per buona parte vinto la battaglia contro le malattie infettive, fino al secolo scorso causa di altissima morbosità e mortalità, oggi non a caso stiamo assistendo, a fronte di un allungamento della vita media dovuto anche ad un migliorata condizione socio-economica, ad un sensibile aumento delle malattie causate dal cibo e dall’inquinamento Si consuma più del necessario, senza tener conto del luogo, del momento, del clima, ignorando l’ordine e le combinazioni appropriate. Ci si alimenta in modo rapido, meccanico, non consapevolmente. Secondo i principi dell’Ayurveda, una alimentazione in grado di garantire una salute perfetta deve tener conto di fattori fondamentali, quali la qualità intrinseca del cibo, la sua preparazione, la sua associazione con altre sostanze, la quantità, il clima, la stagione, le ore della giornata, le regole associate all’alimentazione, la persona e la sua costituzione individuale.

   Una giusta dieta deve, infatti, contenere, in giusto equilibrio, grassi, carboidrati, proteine, Sali minerali, vitamine e calorie, basati sui sei sapori-rasa, ossia dolce, salato, acido, astringente, amaro, piccante, e sui sei guna, ossia pesante, leggero, caldo, freddo, secco e untuoso.

   Il sapore è la chiave per comprendere la nutrizione ayurvedica e per consentire l’uso appropriato ad ogni tipo di costituzione, per una salute perfetta e la longevità. E’ importante ciò che si digerisce. Il primo effetto metabolico del cibo nel corpo arriva attraverso l’esperienza sensoriale che deve essere esteso a tutti i sensi. Il gusto, il profumo, i colori, la consistenza sono in un certo senso già nutrienti di per sé. Il cibo attraverso il gusto ha valore curativo e può essere usato per bilanciare un dosha aggravato: ad esempio Vata è bilanciato dal salato, dall’acido e dal dolce; Pitta dall’amaro, dall’astringente e dal dolce; Kapha dal piccante, dall’amaro e all’astringente.

   La regola fondamentale è di fornire al corpo ad ogni pasto tutti e sei i sapori in modo bilanciato tenendo conto delle specifiche azioni.

   Il dolce promuove la crescita dei tessuti del corpo, calma i cinque sensi e la mente, dà forza e buon aspetto. Toglie la sete e promuove il miglioramento della pelle e dei capelli. E’ ottimo per la voce e per i livelli di energia. Il sapore dolce riduce vata e pitta e aumenta kapha. E’ nutriente, ringiovanente, lubrifica l’interno del corpo e la pelle. Se in eccesso, però, crea obesità, pigrizia, sonno eccessivo, perdita di appetito, difficoltà respiratorie, tosse, muco in eccesso.

   L’acido migliora il gusto del cibo, stimola il fuoco digestivo, aggiunge sostanza al corpo, aiuta la deglutizione, l’inumidire ed il digerire il cibo. Il sapore acido abbassa vata e aumenta pitta e kapha. E’ stimolante e carminativo. Se in eccesso causa sete, deteriora i muscoli e i denti.

   Il salato promuove la digestione e la salivazione, elimina la rigidità, pulisce i canali del corpo ed è un leggero sedativo. Se in eccesso causa ristagno del sangue, crea sete, peggiora le condizioni della pelle, rovina i denti e crea iperacidità.

   L’amaro recupera il senso del gusto, toglie l’infiammazione ed i problemi della pelle. Nutre il fuoco digestivo, rimuove accumuli di sangue. Il sapore amaro aumenta vata e diminuisce pitta e kapha. E’ antinfiammatorio, antibatterico e disintossicante. Se in eccesso, esso deteriora i tessuti, causa ruvidità nei condotti, riduce la forza.

   L’astringente aiuta la guarigione delle ferite e delle piaghe della pelle, e stimola l’assorbimento dei liquidi. E’ essiccante, consolidante e contrae. Il sapore astringete aumenta vata e diminuisce pitta e kapha. E’ emostatico e sedativo. Se in eccesso, provoca secchezza dei tessuti, costipazione, ostruisce i canali della circolazione, indebolisce la vitalità e causa ritenzione di gas.

   Il piccante migliora tutte le funzioni corporali riducendo contemporaneamente le sostanze estranee al corpo. Pulisce la bocca, nutre il fuoco digestivo, offre chiarezza ai sensi, aiuta l’eliminazione delle scorie corporee, purifica il sangue, apre i canali e promuove la circolazione sanguigna. Il sapore piccante aumenta vata e pitta e diminuisce kapha. Esso è stimolante, sudorifero, espettorante. Se in eccesso, riduce la virilità e causa stanchezza.

   Non esistono regole ben precise che vadano bene per tutti, perché ciascun individuo è diverso dall’altro. Tuttavia, l’Ayurveda pone come regole di base che, ad esempio, la carne rende aggressivi, il formaggio egoisti, i farinacei depressi ed il vino catatonici.

Molto importante oltre a cosa si mangia è come si magia, per una buona digestione e trasformazione del cibo nei tessuti vitali dell’organismo: non mangiare con la radio o la tv accese, consumare il cibo in ambienti armoniosi e gioiosi, non mangiare quando si è turbati, consumare il cibo sempre seduti, non mangiare prima che il pasto precedente sia stato digerito, bere piccole quantità di bevande calde, mai fredde, favorire il cibo cucinato piuttosto che crudo, osservare le combinazioni, evitando i cibi contrastanti, prendersi almeno 4-5 minuti di riposo dopo il pasto, consumare il pasto principale a mezzogiorno, mangiare il cibo che piace, concentrare l’attenzione sul cibo mentre si sta mangiando, consumare cibo con un valore nutritivo adatto alla propria particolare costituzione, alle proprie caratteristiche mentali ed emotive.

   Fa differenza, poi, l’acqua d’inverno e d’estate, a seconda che sia esposta al Sole o alla Luna. E’ importante considerare le stagioni, mangiare con consapevolezza, rilassati, cibo fresco e mai usare avanzi, mangiare se si ha fame, masticando a lungo. Ogni tanto, però, va inviato allo stomaco del cibo non masticato, così che questo mantenga in efficienza i suoi muscoli. Non conservare i cibi in frigo, perché i cibi freddi bloccano gli enzimi; non far trascorrere la notte, chè raffredda il cibo. Da tener presente, poi, che la cottura del cibo continua nello stomaco. Evitare di mangiare cibi conservati, fatta eccezione per legumi e miele. La prima acqua di bollitura dei legumi va scolata, perché questi contengono dei veleni, che così vengono eliminati.

   E’ fondamentale, inoltre, la respirazione durante il pasto; mangiare di fretta provoca indigestioni, e mangiare lentamente vuol dire continuare a mangiare senza fermarsi.

Una buona digestione è favorita anche dalla particolare cura che deve essere posta nella preparazione della tavola, e non meno importante è lo stato d’animo di chi confeziona il cibo. Dutante il pasto non deve esserci un’atmosfera tesa, ma serena e tranquilla, evitando discussioni e litigi che disturbano la digestione, trasformano il cibo in ama e tossine. Una buona digestione è l’elemento fondamentale della buona salute. Ogni cellula nasce e si sviluppa con il cibo. Per ogni individuo il cibo sarà buono o cattivo solo in rapporto alla propria capacità digestiva, che è variabile in rapporto alla costituzione individuale: la digestione di vata è variabile e delicata, quella di pitta molto valida e forte, e quella di kapha lenta e pesante.

Una dieta stoica, pura, contiene cibo leggero, fresco, acqua pura, equilibrio tra i sei sapori, porzioni non in eccesso. L’Ayurveda considera sattvici il ghee, i cibi a gusto dolce quali latte, riso, mandorle, fagioli mung, cocco, datteri e miele.

Mai bisogna mangiare quello che non và.

   Riguardo la malattia, quando c’è lo squilibrio dei dosha, questa può essere curata con sostanze, qualità e trattamenti antagonisti, ad esempio il latte, che è freddo e pesante, cura le malattie provocate dalla bile; la carne di coniglio, leggera e secca, aggrava il vento ed allevia la bile ed il flemma; le lenticchie, secche e pesanti, aumentano il vento ed il flemma, diminuendo la bile, e così via.

   E’ interessante anche osservare come la medicina indiana, pure abolendo determinati cibi, ne faccia poi uso per scopi terapeutici, come nel caso di debolezze intestinali, in cui si serve di una dieta a base di riso, ma anche di carne di cervo.

   Ciò che è, però, fondamentale per l’Ayurveda è il mangiare secondo le stagioni ed il clima, rispettando se stessi, senza alterare i propri equilibri, mantenendo soprattutto l’equilibrio dei dosha. La dieta giornaliera va, perciò, bilanciata seguendo i ritmi della natura, nel macrocosmo così come nel microcosmo.

   Come sostiene Ernst Schrott, in La cucina dell'Ayurveda, Nutrire il corpo e l'anima, quando si consumano i pasti, tutti i sensi svolgono un ruolo molto importante. Il tatto è fondamentale: i bambini sono entusiasti di mangiare con le mani, in questo modo il cibo assume un sapore più intenso. Secondo la concezione Ayurvedica, le mani traggono dal cibo il Prana.

   I vari rumori che si sentono in cucina, dallo sfrigolio delle spezie che si tostano nella padella, al borbottio delle verdure o della pasta che sobbollono, tutti questi suoni, hanno un effetto stimolante sul nostro fuoco gastrico. Come del resto le piacevoli chiaccherate con i conviviali, e, naturalmente, i sospiri di soddisfazione al termine di un pasto ben riuscito.
Oltre ai rumori, anche il sapore ha la sua importanza, perchè tutto ciò che la lingua percepisce stimola in modo immediato e intenso l'apparato digerente.

   Naturalmente consumiamo i nostri piatti anche con gli occhi. I colori delle verdure e delle insalate, della frutta, dei cereali, dei dhal o dei dessert, stimolano in modo selettivo i diversi "agni", cioè le attività digestive o metaboliche che si manifestano a vari livelli nell'organismo.
E' quasi superfluo ricordare l'importanza degli odori e dei profumi prodotti dalle pietanze che mangiamo, e di quanto essi condizionino e stimolino tutto il nostro organismo.
Si può pertanto dire che un pasto è necessario che stimoli, in dosi equilibrate, tutti i sensi.

 Torna